La transizione dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione sta creando forti criticità nei centri per l’impiego, che si trovano sovraccarichi e incapaci di rispettare le complesse procedure richieste dalla normativa. Questa situazione ha portato alla sospensione del beneficio per molti nuclei familiari, creando preoccupazione e tensione, in particolare in regioni come la Campania, dove il numero di beneficiari è particolarmente elevato. A lanciare l’allarme è la Funzione pubblica della Cgil, che denuncia una gestione inefficiente e macchinosa della misura.
Attualmente, 725mila famiglie usufruiscono dell’Assegno di inclusione, partito lo scorso gennaio e rivolto ai nuclei con almeno un membro disabile, minorenne, over 60 o in condizione di svantaggio. A questi si aggiungono 139mila soggetti che beneficiano del Supporto per la formazione e il lavoro, una misura che mira a favorire l’inserimento lavorativo attraverso percorsi di formazione e riqualificazione. In totale, 864mila famiglie sono interessate da queste due misure. Nonostante la ministra del Lavoro, Marina Calderone, abbia più volte sottolineato l’obiettivo occupazionale e formativo delle nuove misure, la realtà nei centri per l’impiego sembra smentire questa visione.
Secondo la segretaria nazionale della Funzione pubblica, Giordana Pallone, i problemi principali derivano dalle procedure burocratiche complesse e dalle scadenze difficili da rispettare. Il meccanismo dell’Assegno di inclusione prevede infatti che i nuclei familiari facciano domanda, che l’Inps verifichi i requisiti e che venga sottoscritto il Patto di attivazione digitale. Successivamente, i nuclei vengono convocati dai servizi sociali entro 120 giorni e, se ci sono persone “attivabili” senza carichi di cura, queste devono sottoscrivere un Patto di servizio personalizzato presso il centro per l’impiego entro 60 giorni. In caso di mancato rispetto delle tempistiche, il beneficio viene sospeso.